Così titolava il quotidiano "AVVENIRE" di venerdì 11 gennaio 2002, per riassumere l'udienza al corpo diplomatico del 10 gennaio 2002.
Ci suggerisce san Giovanni Paolo II che se queste otto priorità fossero al centro delle preoccupazioni dei responsabili politici, se gli uomini di buona volontà le traducessero nei loro impegni quotidiani, se gli uomini di religione le includessero nel loro insegnamento, il mondo sarebbe radicalmente diverso.
Nel 2003 riafferma queste priorità con: - SÌ ALLA VITA - RISPETTO DEL DIRITTO - DOVERE DELLA SOLIDARIETÀ - NO ALLA MORTE - NO ALL’EGOISMO - NO ALLA GUERRA. "Ma tutto può cambiare. Dipende da ciascuno di noi. Ognuno può sviluppare in se stesso il proprio potenziale di fede, di probità, di rispetto altrui, di dedizione al servizio degli altri".
Voglia il Signore stampare nei nostri cuori queste priorità per trasformare le nostre relazioni con gli altri.
DISCORSO DEL SANTO PADRE GIOVANNI PAOLO II
AL CORPO DIPLOMATICO
ACCREDITATO PRESSO LA SANTA SEDE*
Giovedì, 10 gennaio 2002
*L'Osservatore Romano 11.1.2002 pp.7, 8. (cliccare sulla parte in stampatello per leggere il documento in originale)
Questi gli otto punti proposti per cambiare il mondo:
6. A voi, Signore e Signori, affido queste riflessioni, che nascono dalla preghiera come pure dalle confidenze che ricevo da quanti vengono a farmi visita. Vi chiedo di trasmetterle ai vostri rispettivi governi. Non lasciamoci sopraffare dalla durezza di questi tempi. Apriamo piuttosto il cuore e l’intelligenza alle grandi sfide che ci attendono:
- la difesa della sacralità della vita umana in tutte le situazioni, specialmente di fronte alle manipolazioni genetiche;
- la promozione della famiglia, cellula fondamentale della società;
- l’eliminazione della povertà, grazie a sforzi dispiegati in favore dello sviluppo, della riduzione del debito e dell’apertura del commercio internazionale;
- il rispetto dei diritti dell’uomo in ogni circostanza, con speciale attenzione per le categorie delle persone più vulnerabili: bambini, donne e rifugiati;
- il disarmo, la riduzione della vendita di armi ai paesi poveri e il consolidamento della pace dopo la fine dei conflitti;
- la lotta contro le grandi malattie e l’accesso dei più poveri alle cure e alle medicine di base;
- la salvaguardia dell’ambiente e la prevenzione delle catastrofi naturali;
- l’applicazione rigorosa del diritto e delle convenzioni internazionali.
Certo, si potrebbero aggiungere tante altre esigenze. Ma se già queste priorità fossero al centro delle preoccupazioni dei responsabili politici, se gli uomini di buona volontà le traducessero nei loro impegni quotidiani, se gli uomini di religione le includessero nel loro insegnamento, il mondo sarebbe radicalmente diverso.
7. Sono questi i pensieri che mi premeva confidarvi. Le tenebre non possono essere fugate che dalla luce. L’odio non è vinto che dall’amore. L’auspicio mio più fervido, quello che nella preghiera affido a Dio e che, credo, sarà presente in tutti i partecipanti al prossimo incontro di Assisi, è che rechiamo tutti nelle nostre mani disarmate la luce d’un amore che nulla riesce a scoraggiare. Voglia Iddio che sia così per la felicità di tutti!
5. Questa contrastata situazione del nostro mondo, incamminato nel terzo millennio, offre un vantaggio, se posso esprimermi così: ci mette di fronte alle nostre responsabilità. Ognuno è costretto a porsi le vere domande: quella della verità su Dio e quella della verità sull’uomo.
Dio non è al servizio d’un uomo o di un popolo, e nessun progetto umano può pretendere di appropriarsene. I figli di Abramo sanno che nessuno può accaparrarsi Dio: Dio, noi lo accogliamo. Davanti al presepe, i cristiani sono in grado di percepire meglio che Gesù stesso non si è imposto e ha rifiutato di utilizzare strumenti potenti per promuovere il suo Regno!
La verità sull’uomo, che è creatura. L’uomo coglie la verità del suo essere solo quando riceve se stesso da Dio in un atteggiamento di povertà. Non è cosciente della sua dignità se non quando riconosce in se stesso e negli altri l’impronta di Dio che lo ha creato a sua immagine. Proprio per questo ho voluto che il tema del perdono fosse al centro del tradizionale Messaggio per la celebrazione della Giornata Mondiale della Pace del 1°gennaio 2002, essendo persuaso che “il servizio che le religioni possono dare per la pace e contro il terrorismo consiste proprio nella pedagogia del perdono, perché l’uomo che perdona o chiede perdono capisce che c'è una Verità più grande di lui, accogliendo la quale egli può trascendere se stesso” (n. 13).
Questa verità su Dio e sull’uomo, i cristiani l’offrono a tutti gli uomini, specialmente ai loro fratelli e sorelle fedeli dell’Islam autentico, religione di pace e d’amore del prossimo.
DISCORSO DEL SANTO PADRE GIOVANNI PAOLO II
AL CORPO DIPLOMATICO
ACCREDITATO PRESSO LA SANTA SEDE*
Lunedì, 13 gennaio 2003
*L'Osservatore Romano 13-14.1.2003 pp.7, 8. (cliccare sulla parte in stampatello per leggere il documento in originale)
3. Ma tutto può cambiare. Dipende da ciascuno di noi. Ognuno può sviluppare in se stesso il proprio potenziale di fede, di probità, di rispetto altrui, di dedizione al servizio degli altri.
Dipende chiaramente anche dai responsabili politici chiamati a servire il bene comune. Non vi sorprenda il fatto che, di fronte ad una platea di diplomatici, io proponga al riguardo alcuni imperativi, ai quali mi sembra necessario ottemperare, se si vuole evitare che popoli interi, forse addirittura l’umanità stessa, precipitino nell’abisso.
Anzitutto un «SÌ ALLA VITA»! Rispettare la vita e le vite: tutto comincia da qui, poiché il più fondamentale diritto umano è il diritto alla vita. L’aborto, l’eutanasia o la clonazione umana, ad esempio, rischiano di ridurre la persona umana ad un semplice oggetto: in qualche modo, la vita e la morte a comando! Quando sono prive di ogni criterio morale, le ricerche scientifiche che manipolano le sorgenti della vita, sono una negazione dell’essere e della dignità della persona. Anche la stessa guerra attenta alla vita umana, perché reca con sé sofferenza e morte. La lotta per la pace è sempre una lotta per la vita!
Poi, il RISPETTO DEL DIRITTO. La vita in società – in particolare la vita internazionale – suppone dei principi comuni intangibili, il cui scopo è di garantire la sicurezza e la libertà dei cittadini e delle Nazioni. Tali regole di condotta sono alla base della stabilità nazionale e internazionale. Oggi, i responsabili politici hanno a disposizione testi appropriati e pertinenti istituzioni. Basta metterli in pratica. Il mondo sarebbe totalmente diverso se si cominciasse ad applicare, in maniera sincera, gli accordi sottoscritti!
Infine il DOVERE DELLA SOLIDARIETÀ. In un mondo inondato da informazioni, ma che paradossalmente comunica con tanta difficoltà, e dove le condizioni di esistenza sono scandalosamente ineguali, è importante non lasciare nulla di intentato perché tutti si sentano responsabili della crescita e della felicità di tutti. Ne va del nostro avvenire. Giovani senza lavoro, persone disabili marginalizzate, anziani abbandonati, Paesi prigionieri della fame e della miseria: ecco ciò che troppo spesso fa sì che l’uomo perda la speranza e soccomba alla tentazione del ripiegamento su sé stesso o alla violenza.
4. Si impongono pertanto alcune scelte affinché l’uomo abbia ancora un avvenire: i popoli della terra e i loro dirigenti devono avere talvolta il coraggio di dire “no”.
«NO ALLA MORTE»! Cioè, “no” a tutto ciò che attenta all’incomparabile dignità di ogni essere umano, a cominciare da quella dei bambini non ancora nati. Se la vita è davvero un tesoro, bisogna saperlo conservare e farlo fruttificare senza snaturarlo. “No” a tutto ciò che indebolisce la famiglia, cellula fondamentale della società. “No” a tutto ciò che distrugge nel bambino il senso dello sforzo, il rispetto di sé e dell’altro, il senso del servizio.
«NO ALL’EGOISMO»! Cioè, “no” a tutto ciò che spinge l’uomo a rifugiarsi nel bozzolo di una classe sociale privilegiata o di una cultura di comodo che esclude l’altro. Il modo di vivere di quanti usufruiscono del benessere, il loro modo di consumare, debbono essere rivisti alla luce delle ripercussioni che hanno sugli altri Paesi. Si pensi, ad esempio, al problema dell’acqua, che l’Organizzazione delle Nazioni Unite propone alla riflessione di tutti nel corso del 2003. Egoismo è anche l’indifferenza delle Nazioni opulente nei confronti dei Paesi abbandonati a se stessi. Tutti i popoli hanno il diritto di ricevere una parte equa dei beni di questo mondo, e della conoscenza scientifica e tecnologica dei Paesi più capaci. Come, ad esempio, non pensare all’accesso per tutti ai medicinali generici, necessari per sostenere la lotta contro le epidemie attuali? Questo accesso è spesso impedito da considerazioni economiche a corto termine.
«NO ALLA GUERRA»! La guerra non è mai una fatalità; essa è sempre una sconfitta dell’umanità. Il diritto internazionale, il dialogo leale, la solidarietà fra Stati, l’esercizio nobile della diplomazia, sono mezzi degni dell’uomo e delle Nazioni per risolvere i loro contenziosi. Dico questo pensando a coloro che ripongono ancora la loro fiducia nell’arma nucleare e ai troppi conflitti che tengono ancora in ostaggio nostri fratelli in umanità. A Natale, Betlemme ci ha richiamato la crisi non risolta del Medio Oriente dove due popoli, quello israeliano e quello palestinese, sono chiamati a vivere fianco a fianco, ugualmente liberi e sovrani, rispettosi l’uno dell’altro. Senza dover ripetere ciò che dicevo l’anno scorso in questa stessa circostanza, mi accontenterò oggi di aggiungere, davanti al costante aggravarsi della crisi mediorientale, che la sua soluzione non potrà mai essere imposta ricorrendo al terrorismo o ai conflitti armati, ritenendo addirittura che vittorie militari possano essere la soluzione. E che dire delle minacce di una guerra che potrebbe abbattersi sulle popolazioni dell’Iraq, terra dei profeti, popolazioni già estenuate da più di dodici anni di embargo? Mai la guerra può essere considerata un mezzo come un altro, da utilizzare per regolare i contenziosi fra le Nazioni. Come ricordano la Carta dell’Organizzazione delle Nazioni Unite e il Diritto internazionale, non si può far ricorso alla guerra, anche se si tratta di assicurare il bene comune, se non come estrema possibilità e nel rispetto di ben rigorose condizioni, nè vanno trascurate le conseguenze che essa comporta per le popolazioni civili durante e dopo le operazioni militari.