"Nessuno vi potrà togliere la vostra gioia" (Gv 16, 23). Oltre il desiderio di felicità, il dono della gioia.
Incontro a Marciola del 13 dicembre 2014
NB: Questa trascrizione non è stata rivista dall’autore e risente dello stile parlato. Si raccomanda un uso personale di questo materiale.
Saremmo ben lieti di inserire un testo più curato proposto dell'autore.
Incontro a Marciola 13. 12.14 con Don Paolo Giannoni
"Nessuno vi potrà togliere la vostra gioia" (Gv16,23).
Oltre il desiderio di felicità, il dono della gioia.
Per avere un gusto della verità e della vita, come della storia, per noi è necessaria la grammatica della vita. E la grammatica della vita ha bisogno della grammatica delle parole e queste sono un dato di verità, di vita e di storia.
1. Fermiamoci prima di tutto alle parole. Prima nel cuore e poi nella bocca sono creative, dicono e suscitano l'essere (basta citare alcune parole insieme: ti amo, mi viene di odiare, sono tentato ad essere indifferente). Parlando non si vuole spiegare tutto, ma le parole aprono un cammino di relazione: ci fanno vivere insieme agli altri e avendone un dono che ci rispondono. Essere fra noi viviamo una simpatia (=essere toccati dagli altri e essere "impressionati" e non uno stare insieme e, anche, piacevolmente) e viviamo una empatia (vivendo nell'altro, facendoci trasformare o donandosi insieme). Così avviene la relazione, un dato essenziale della vita (e nella fede ci ricorda che il Dio della trinità è relazione). E' impossibile vivere senza relazione.
2. Dentro questo discorso noi ci fermiamoci a Gesù. Nel NT non esiste la parola "apatheia" (indifferenza e superiorità del proprio io), ma anzi frequente è la parola del "pathein": "pascho-patire" ritorna 74 volte, e "epithymia-desiderio" 55 volte. Ciò dice che in Gesù il cuore umano (o solo animale?o anche vegetale?) vive nel suo profondo con gli altri e con l'altro e con l'Altro. Egli è una persona che vive impressionata in sé ("Gesù pianse") e fa impressionare ("la tua fede ti ha salvato"). Tutti siamo premuti in noi e premiamo, come un'argilla che si fa formare o forma. Secondo il vangelo siamo tutti passivi ("poi Deum", "pari homines"), anche quando siamo attivi, perché tutti abbiamo la ricchezza di avere un corpo, sensibilità, mente, cuore, spirito e questo riceve ed ha, anzi è.
3. Di questo è il bene–vero-bello di ogni creatura. E come l'anima non è mai stupida, e quando non vive la sua bontà-veritàbellezza vive nell'essere inferno, essere malattia (basti pensare oggi: la precarietà porta alla paura e dalla paura all'aggressività). Il male è una deformazione del bene che noi siamo e fa diventare prigioniera la libertà (un segnale: la famiglia che "non più necessaria all'organizzazione sociale, perché con una leggerezza sconcertante la cultura odierna ipotizza di organizzarsi a prescindere dal legame famigliare considerato un vincolo troppo oneroso. rispetto alla fluttuante libertà dell'Io-individuo" (magatti). E quello che diciamo della famiglia, lo diciamo di tutto, della politica, dell'economia, della stessa religione.
Abbiamo detto prima che la relazione è inevitabile, noi siamo in relazione, anzi siamo relazione e questo ci porta il dono di avere vincoli. O vincoli di schiavitù (potere sull'altro invece che per lui) oppure vincoli di amore e di condivisione. In senso evangelico il vincolo è carità-amore, ma anche desiderio. Il desiderio non è una voglia, una sottomissione ad ogni fantasia, una impressione senza cuore e senza pensiero e riducendosi al piacere in un senso povero. Gesù non p venuto a liberare dal desiderio, perché ha liberato il desiderio. Ne prendiamo un dato essenziale nel piacer. Esso è un senso divino, una delle forme più belle del cuore di Dio creatore: se non fossimo piacere, la vita sarebbe un obbligo, un destino. Il piacere è il "lubrificante della macchina": viviamo con piacere ciò che sarebbe solo un obbligo, un peso obbligante. Ma il piacere è la macchina. Che cosa noi diremmo,se uno tenesse un chilo di olio, lasciando perdere l'auto? Così l'essere, la relazione, il desiderio e il piacere ci fanno capire che noi siamo un essere "erotico" (Lacan, Recalcati) che nel suo profondo è non (come si pensa, forse anche qui fra noi) un dato di piacere fisico, sessuale, perché la verità profonda della creatura è essere un desiderio dell'amore. E Gesù ha detto con profonda luminosità"c'è più gioia nel donare che nel ricevere" Insieme all'agape, amore come gratuità, viene anche 1' eros come desiderio: l'uno e l'altro sono fratelli (o sorella). E' forse possibile vivere con gratuità senza desiderio a cui ci diamo e che diamo? E' forse possibile vivere un desiderio senza comunione con chi si vuole? Per questo Gesù è stato profondamente erotico e interamente agapico. E senza questo dialogo di essere e di vita una persona è autistica, non ha la capacità della relazione (e sono tanti i modi di essere autistici). E purtroppo si rischia di essere una somma di solitudini e quindi di paura e di aggressività.
4. Questo percorso di tante espressioni umane, e già più volte ci è stata rammentata la presenza di Gesù, vogliano ora entrare nella verità di Gesù. Seguendo la ricchezza della sua vita vogliamo ascoltare il suo "testamento", che è stato una forma espressa del suo essere, relazione, amore, come via di passione e morte, ma si apre nella resurrezione.. La parola che inizia e guida il suo "testamento" è il desiderio: "ho desiderio d'un desiderio ("epithymia epethymesa") di mangiare con voi questa pasqua" (Lc 22,15). E da qui, da questa pasqua, si apre l'intero di Gesù, fino alla morte: "avendo amato i suoi, li amò sino alla fine" (Gv 13,1). Dinanzi a questo viene l'orrore dalla morte, dalla morte per crocifissione dolorosa e vergognosa, fino al nulla della tomba. E ci fa impressione che Gesù abbia detto ai suoi amici e ad ogni amico ("Gesù sarà in agonia sino alla fine del mondo. Durante questo tempo non bisogna dormire", dice Pascal con impressionanti pensieri (806) su Gesù nel Getsemani in Mt 26,36-46) "la mia anima è triste fino alla morte" (Mt 26,38). La tristezza "è ciò che va contro la volontà" (ST I,113,7co, dice con acuta profondità e intelligenza s. Tommaso), non avere gioia (S'I' I-II, 22,1co), è un desiderio senza ragione, inutile (leghiamo insieme I-II, 23, 1co, con ST I,20,2 ad 3). Per questo Gesù con la sua sensibilità di amore, lui che ha superato sé, per essere amore (Rom 15,3:"Cristo non piacque a se stesso"("arèskein"è dare, avere soddi'sfazi'one, da "àretès" (solo 4 volte in 1\T) qualità di preminenza, eccellenza; sa di forza (da Ares, dio della guerra), della jòrra nel combattimento]. Gesù ha, è vissuto per "dare questo piacere-forza per il prossimo" (vs 2), "portando la forza a favore della fragilità dei senza forza" (vs 1). Egli è cosciente di quanto sta accadendo, ma – ed è un tratto delicato di amore – supera se stesso offrendosi, si supera di essere piacere per essere amore.
5. Ma questo amore è cosciente che i suoi discepoli avranno da patire, perché restaranno sconvolti (volevano che egli fosse deboli. Si capisce bene perché sia normale "spuntarsi" dall'elenco del vangelo. Ma questo verismo dentro di sé ha lafecondità della vita e della gioia. Con realismo (chi ama sa essere realista) dice loro che saranno nella ("lypethèresthe”), si gioia ("charis”) " (“ora"è quella della passione di Gesù), ("thhipsis'),
Il vangelo scandalizza, ma vero inciampo è una vita senza amore e senza il coraggio di vivere il nostro limite.
6. Da questa sequenza storica e personale viene la verità di quanto è detto nel nostro tema :"Nessuno vi potrà togliere la vostra gioia" (Gv16, 23). Non è una retorica, un parlare di parole che risuonano senza avere e senza dare vita, ma qui viene vita e storia. Vita come modo di essere persone, storia come modo di realizzare azioni. Perciò qui le parole realizzano ciò che dicono. In verità queste parole,serie, verificano l'anatomia del cuore per una fisiologia di gioia, un modo di essere per essere un modo di vivere in relazione, fino al massimo creativo della relazione che è l'amore.
Certo tutto questo non si improvvisa, ma è necessario un esercizio e un cammino di "askesis", di esercitazione, come è quella dell'atleta che si allena per avere capacità di gareggiare e poter vincere. Qui, nella vita cristiana non siamo soli per una specie di impegno da spasimo volontario, perché in noi Dio ci dona la grazia, e la grazia-"charis" è grazia, gioia e bellezza. Qui non vogliami fare retorica, che offende noi e le cose di cui stiamo dicendo, perché realtà di Gesù e nei suoi amici. Ce lo dice uno, grande discepolo: "non che io abbia già conquistato il premio....ma protendendomi verso l'avvenire" (Fil 3,12-16), ma non c'è un podio per i più forti, perché tutti per grazia siamo sul podio: attivamente "gareggiate a stimarsi a vicenda" Rom 12,10) e quindi si cammina sempre di squadra, ma anche tutti possono (e devono) raggiungere il premio (I Cor 9,24-27). Da qui viene la gioia, da questa vita nella quale non battiamo l'aria, ma viviamo una esercitazione e con un fine reale e preciso. Da qui viene il vero intento del nostro odierno incontro: "Oltre il desiderio di felicità, il dono della gioia", passando dal desiderio - l'essere profondo e ineliminabile del nostro essere - al dono, per grazia e non per nostra potenza, anche se noi abbiamo da fare la nostra parte. Siamo non protagonisti isolati,perché siamo in una "compagnia" (=mangiare lo stesso pane) di vita.
7. Uno della patologia di oggi è l'obbligo della felicità, della quale si parla tanto e si fanno proposte di realizzazione. Ora anche la felicita è questione di libertà. Se non c'è libertà, non c'è verità di un uomo, di una donna. La felicità non è un obbligo, ne un avere, ma un essere. Per questo non si tratta di avere o acquistare la felicità, ma noi siamo la felicità, perché Dio ci ha fatto per essere felici, cioè per essere nella pienezza, nell'adempimento del nostro essere. Per questo è venuto Gesù portandoci alla pienezza ed egli ci fa sperimentare che la felicità non è questione di avere o possedere, ma essere la pienezza, avuta dal suo amore sino alla fine e la sua fine è la resurrezione (la vita cristiana parla di "escatologia", cioè di adempimento pieno). Così la felicità è un infinito (chi potrà mai dire"ho amato o sono stato amato appieno", o "conosco l'intera verità", o "ho goduto tutta la bellezza"): Dio ci ha voluto di essere divini, a sua immagine e a suo compimento, non per una fusione ma per una comunione.
Qui è il punto: per comunione e non per obbligo. L'obbligo della felicità è una negazione della libertà. Certo tutti siamo condizionati,ma possiamo essere liberati ed essere liberi. La sapienza di P. Ricoeur ci ricorda che dentro la storia la libertà è condizionata ma libertà è accettazione e quindi consenso, acconsentimento alla necessità di cui viviamo. La felicità dunque è un' esercitazione della libertà.
Qui viene l'intensità di dire il nostro paradosso evangelico di essere e vivere "oltre la felicità", perché la felicità è un infinito. E' necessario avere la sapienza – e la sapienza, per fede- di sapere che noi siamo limitati, ma nell'animo è il segno dell'escatologia che non è stare sull'albero a cantare, ma vivere un' "anticipazione". Dinanzi all'escatologia nella quale ogni lacrima sarà asciugata, ogni volta che noi rasciughiamo e preveniamo le lacrime, oggi in modo piccolo e povero ma reale è già un cammino di escatologi. In questa volontà di speranza e dono di amore, viene una attività della storia. Qui avviene la gioia che non è un ridere, né un piacere, ma il cuore infinito che vive l'infinito, ora-e-qui.
Dio ci sostiene con la sua grazia e "charis" è grazia, bellezza e gioia.. Tutto è grazia,è tutto un intenso fascio di essere e di vivere. Qui, concludiamo con una parabola, quella di ogni pianta (la parabola apre un enigma, una cifra, una sollecitazione a un di più della vita). Essa si manifesta nei fiori e nel frutto ma per essere feconda. Fiore e frutti donano la vita, perché sia il seme (una gioia senza fecondità non è gioia). Per questo i fiori si realizzano nel frutto: il loro sfiorire è il fiore austero della fecondità. Certo dona gioia il fiore, ma più gioia è il suo frutto. E anche il frutto dona il piacere per essere mangiato e non per divorarlo bensì per assumerlo, per assimilarlo: noi siamo il frutto e siamo vita. Il frutto in se stesso è stato opera della fecondazione, ma esso stesso è fecondità. fecondo perché fecondato e per essere a sua volta fecondo. E' tutta una sequenza di dono per donare. Ecco che nel frutto è il seme e il seme cade, marcisce e così si realizza realizzando la vita, il germe. La gioia è perdersi perché sia la vita e solo allora è veramente gioiosa, perché è e dono di vita. Senza questo forse viene il ridere, viene la soddisfazione, ma non la gioia. Così la gioia è per grazia ma anche fa grazia, è dono, ma anche fa dono. Per questo i profeti parlano di "besorà" e il vangelo "euaggelion", cioè la storia di Dio è un annunzio di gioia e il massimo della gioia è nella resurrezione di Gesù in noi. Questa è la prospettiva della fede nella parola di Dio e nella storia di Dio, che è storia insieme umana.