a cura di Giovanni Burdese CM, da “Informazione Vincenziana” n. 9 del 2012 pagg. 29-31
A — Perché il Verbo si è fatto carne
Potremmo dire che il Verbo si è fatto carne per quattro ragioni.
Innanzitutto per salvarci, poiché l’uomo aveva bisogno di riconciliazione con Dio. La quale cosa si può esprimere – come fa la Scrittura – con linguaggi diversi e similari: il Verbo (cioè Gesù Cristo) è vittima di espiazione per i nostri peccati (cf 1 Gv 4,10); il Padre lo ha mandato come Salvatore del mondo (cf lGv 4,14); è apparso per togliere i peccati (cf 1 Gv 3,5). La Chiesa, sulla base della Scrittura e della Tradizione, insegna che la natura dell’uomo è corrotta dal peccato originale. A differenza di quanto sostenevano gli illuministi - ad esempio J.J. Rousseau, rappresentante della generazione avanzata del secolo dei lumi, che ritiene l’uomo buono per natura e nega il peccato originale - la Chiesa sa che l’uomo è per natura malato, decaduto, perduto, prigioniero, schiavo ... tale da far commuovere il cuore di Dio (cf San Gregorio di Nissa, Oratio catechetica,15).
In secondo luogo, il Verbo si è fatto carne perché noi potessimo conoscere l’amore di Dio. Ed è ancora san Giovanni, nel vangelo e nelle lettere, il maestro dell’amore: la manifestazione dell’amore di Dio sta proprio nel fatto dell’invio del Figlio unigenito (cf 1 Gv 4,9); Lui lo ha consegnato al mondo, perché abbia la vita eterna (cf Gv 3,16).
In terzo luogo, il Verbo si è fatto carne per esserci modello di santità: Egli è il modello delle beatitudini e la norma della nuova legge: “Amatevi gli uni gli altri, come io vi ho amati” (Gv 15,12). Per questo può dire: “Imparate da me ...”(Mt 11,29).
Infine, quarta ragione, il Verbo si è fatto carne, perché diventassimo “divinae consortes naturae”, cioè partecipi della natura divina (1 Pt 1,4). Di qui ne deriva la filiazione divina: “Il Figlio di Dio si è fatto uomo per farci Dio” (Sant’Atanasio, De Incarnatione 54,3); “Assunse la nostra natura, affinché, fatto uomo, facesse gli uomini dèi” (San Tommaso d’Aquino, In festo corporis Christi, 1).
L’Incarnazione pertanto è un fatto, cantato nell’inno cristologico di san Paolo (che parla di sarx-carne) (Pii 2,5-8; 1 Tm 3,6); è un mistero celebrato nella lettera agli Ebrei (che parla di soma-corpo) (Eb 10,5-7); ed è il segno distintivo della fede cristiana; cosicché Giovanni potrà dire: “Da questo potete riconoscere lo spirito di Dio: ogni spirito che riconosce che Gesù Cristo è venuto nella carne è da Dio” (1 Gv 4,2). Posizione, questa ben diversa da quella della “gnosi”(=conoscenza) – eresia antica e sempre strisciante – che, tra l’altro, nega l’incarnazione reale del Verbo e la salus carnis (salvezza della carne) in nome di un complesso di elementi spirituali liberi dalla materia malvagia.
B -Vero Dio e vero uomo
“Id quod fuit remansit et quod non fuit assumpsit”(Rimase quel che era [cioè Dio] e quel che non era [cioè uomo] assunse): così canta la liturgia romana (Liturgia delle ore, I, Ufficio delle letture di Natale). Il che è come dire che – con l’evento dell’incarnazione – il Verbo si è fatto veramente uomo rimanendo veramente Dio. Questa affermazione intende fugare ogni dubbio circa una confusa mescolanza di divino e umano, come se Gesù fosse in parte uomo e in parte Dio, quasi alla maniera delle mitiche e mostruose sirene che si riteneva fossero donna-pesce o pesce-donna.
La storia del dogma documenta una lunga serie di eresie che, a partire dall’epoca apostolica fino all’ottavo concilio, vale a dire il IV di Costantinopoli (869/70), hanno tentato di inficiare la verità di Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo. E soprattutto i primi otto concili ecumenici sono stati determinanti per cristallizzare questa verità. Ad alcuni di questi errori o eresie vogliamo accennare. Fin dall’epoca degli apostoli troviamo chi nega la vera umanità di Cristo: è il cosiddetto docetismo gnostico (dokein= sembrare; gnosis=sapienza, conoscenza). Vale a dire: Gesù sembrava uomo, ma non era vero uomo; si veniva a negare la “venuta nella carne” (1 Gv 4,2-3) del Verbo. Contro Paolo di Samosata (3° sec.), che sosteneva che Gesù era stato un “uomo comune”, la Chiesa nel terzo sinodo di Antiochia ha dovuto affermare che Gesù Cristo è Figlio di Dio per natura e non per adozione. Sarà il Concilio ecumenico di Nicea (325) a ribadire la fede in Gesù Cristo, “generato, non creato, della stessa sostanza (“homousios”) del Padre”, contro il prete alessandrino Ario (c.250-336), il quale sosteneva che il Figlio di Dio non era sempre esistito e perciò non era di natura divina, ma soltanto la prima creatura (cf DS 125-126; 130). Nestorio (c. 382- c.451) - monaco di origine persiana, sacerdote in Antiochia e successivamente vescovo di Costantinopoli - sostenne che vi erano due persone distinte in Cristo incarnato: una persona umana “congiunta” alla persona divina del Figlio di Dio. Contro di lui, il Concilio ecumenico di Efeso (431) confessò che “il Verbo, unendo a se stesso, ipostaticamente, una carne animata da un’anima razionale, si fece uomo” (DS 250).
E poiché Nestorio si opponeva all’attributo Theotòkos (madre di Dio) per la vergine, preferendogli quello di Christotòkos (madre di Cristo), lo stesso Concilio proclamò che Maria è divenuta madre di Dio per il concepimento umano del figlio: “Madre di Dio ... non certo perché la natura del Verbo o la sua divinità avesse avuto origine dalla Vergine; ma, poiché nacque da lei il santo corpo dotato di un’anima razionale, a cui il Verbo è unito sostanzialmente, si dice che il Verbo è nato secondo la carne” (DS 251).
I monofisiti (monos=uno; physis=natura), o sostenitori della sola natura divina, affermavano che la natura umana aveva cessato di esistere in Cristo, essendo stata assunta dalla persona divina del Figlio di Dio. Eutìche (378-454), igumeno(=superiore) di un grande monastero di Costantinopoli e principale esponente di tale eresia, venne condannato dal Concilio ecumenico di Calcedonia nel 451 ove si ribadì:
“Un solo Cristo, Signore, Figlio unigenito, che noi dobbiamo riconoscere in due nature... La differenza delle nature non è affatto negata dalla loro unione. Ma piuttosto le proprietà di ciascuna sono salvaguardate e riunite in una sola persona e in una sola ipostasi” (DS 301-302).
Dopo Calcedonia gli errori non mancarono. Infatti il quinto concilio ecumenico, il secondo di Costantinopoli (553) dovette intervenire per condannare coloro che asserivano esservi in Cristo due persone, quella umana e quella divina: chi “nega una sola ipostasi (=persona) in lui, e cioè il Signore Nostro Gesù Cristo, uno della Santa Trinità, costui sia anàtema” (DS 424). Tutto nell’umanità di Cristo deve essere attribuito alla sua persona divina: miracoli, sofferenze, morte: “Il Signore Nostro Gesù Cristo, crocifisso nella sua carne, è vero Dio, Signore della gloria e Uno della Santa Trinità”(DS 432). Pertanto, Cristo è vero Dio e vero uomo, con due nature, la divina e l’umana, non confuse, ma unite nella Persona del Verbo. Vediamo come.
C - Come il Figlio di Dio è uomo
Gesù Cristo è in possesso della piena realtà dell’anima umana, capace cioè di operazioni di intelligenza e di volontà; così come è in possesso di un corpo pienamente umano. La natura umana di Cristo appartiene in proprio alla persona divina del Figlio di Dio che l’ha assunta. Nella sua anima come nel suo corpo, esprime umanamente i comportamenti divini, rimanendo “Uno della Trinità”. Parliamo dunque della conoscenza umana di Cristo, della sua volontà umana, della sua corporeità umana, del suo cuore d’uomo. Come spesso accade nella storia della Chiesa, gli errori di eresiarchi dànno motivo di pronunciamenti che aiutano a comprendere più a fondo il mistero di Cristo. È il caso di Apollinare (c.310-c.390), vescovo di Laodicea, il quale, preoccupato di difendere la piena divinità di Cristo contro gli ariani, intaccò la sua piena umanità col sostenere che Cristo non aveva spirito, ossia anima razionale, in quanto questa era sostituita dal Logos divino.
La Chiesa ha confessato che il Figlio eterno ha assunto un’anima razionale umana, capace di vera conoscenza umana, esercitata nelle condizioni storiche spazio-temporali, tali da poter “crescere in sapienza, età e grazia”, come fa notare l’evangelista Luca (Lc 2,52). Dai Vangeli risulta che anch’egli in certe circostanze si è dovuto informare intorno a ciò che si può apprendere tramite l’esperienza: “Quanti pani avete? Andate a vedere” (Mc 6,38); “La gente chi dice che io sia?” (Mc 8,27); “Dove l’avete messo (Lazzaro morto)?” (Gv 11,34). Insomma, atteggiamenti umani, consoni a chi ha scelto la “condizione di servo” (Pii 2,7).
Allo stesso tempo, questa conoscenza umana esprime la vita divina della sua persona, manifestata, innanzitutto, nella conoscenza unica che Egli ha del Padre suo: “Abbà, Padre, tutto è possibile a te...” (Mc 14,36); ma anche nella penetrazione divina dei segreti pensieri del cuore degli uomini: “Avendo conosciuto nel suo spirito che così pensavano tra sé [che stesse bestemmiando]...” (Mc 2,8); “Egli sapeva quello che c’è in ogni uomo”(Gv 2,25). Dunque una conoscenza umana cheperò attinge ai disegni divini. Alla stessa stregua, la volontà è duplice, capace di operazioni umane e divine perfettamente cooperanti: lo ha dichiarato solennemente il III Concilio ecumenico di Costantinopoli (681): “Proclamiamo in lui ... due volontà naturali e due operazioni naturali, senza separazione o confusione. Le due volontà naturali non sono in contrasto tra loro (non sia mai detto!), come afferma-no gli empi eretici, ma la sua volontà umana segue, senza opposizione o riluttanza, o meglio, è sottoposta alla sua volontà divina e onnipotente” (DS 556).
Riguardo alla corporeità, la Chiesa ha sempre riconosciuto che il “Verbo invisibile apparve visibilmente nella nostra carne”(Prefazio di Natale II del Messale Romano), in un “corpo circoscritto” (cf Sinodo Lateranense del 649: DS 504) e pertanto raffiguratile in “venerande e sante immagini” (Conc. Nicea II [787]: DS600-603): poiché il cristianesimo - a differenza dell’ebraismo e dell’islamismo - permette al fedele di riprodurre i lineamenti di Cristo: chi venera “l’immagine, venera la realtà di chi in essa è riprodotto” (ivi, DS 601). Del resto lo stesso san Paolo afferma che Cristo è “immagine del Dio invisibile” (Col 1,15).
Infine, Gesù ci ha conosciuti e amati con un cuore umano. Il suo cuore trafitto per la nostra salvezza è il simbolo di quell’infinito amore, col quale egli ama il Padre e ciascuno degli uomini.