Don Fernaldo Flori (1915-1996)
La Prefazione e il libro sono a cura di don Giorgio Mazzanti
Cittadella Editrice-Assisi - 1a edizione dic. 2011 ISBN 978-88-308-1204-8 euro 18,00
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Un breve cenno biografico dell’autore e del curatore:
DON FERNALDO FLORI, SACERDOTE E SCRITTORE
Fernaldo Flori nasce ad Abbadia San Salvatore il 3 gennaio 1915 da una famiglia di minatori.
La sua infanzia sull'Amiata, così come quella del conterraneo e amico Padre Ernesto Balducci, fu assai povera, ma calda di affetti e con la memoria devota dei familiari. Ancora fanciullo scende a Pienza per entrare nel Seminario Vescovile dal quale non si sarebbe più distaccato fino alla sua morte avvenuta il 10 febbraio del 1995.Divenuto sacerdote, sempre nel Seminario, inizia la sua missione di insegnate e maestro per molte generazioni di sacerdoti, assumendo per tantissimo tempo il ruolo di vice Rettore e poi, per ultimo quando ormai il Seminario stava per chiudere, anche di Rettore. Oltre alla sua attività di insegnate è stato per cinquanta anni parroco di S. Anna in Camprena e per quaranta parroco di Cosona. Piccole parrocchie di campagna, segnate nel corso degli anni cinquanta dall'esodo rurale, che portò nel giro di pochi anni al pressoché totale svuotamento delle campagne.
Il Flori, uomo di vastissima cultura, è stato un prezioso punto di riferimento, per quasi tutti i sacerdoti della Diocesi che lo hanno avuto come insegnante; per i suoi parrocchiani, ma anche per i molti amici che trovavano in lui una guida sicura, un eccezionale maestro. Studioso attento di teologia e di letteratura, sia antica sia moderna, affidava le sue riflessioni, prose e versi, a preziosi diari, che raramente mostrava a qualche amico. La sua forte personalità e sapienza attirarono verso il Seminario pientino importanti uomini di cultura tra la quale: Carlo Betocchi, Geno Pampaloni, Elio Fiore, Carlo Bo, Mario Specchio, Leone Piccioni. Fu proprio Leone Piccioni che negli anni settanta, presentò Don Flori al poeta Mario Luzi. Da allora nacque, consolidandosi sempre più nel tempo, un'amicizia fraterna, che portò Luzi a passare ininterrottamente tutte le estati a Pienza, ospite di don Flori nell'ormai vuoto seminario. Un appuntamento caro ad entrambi.
Durante quei mesi estivi, quelle lunghe conversazioni, sono nate alcune tra le più belle pagine del poeta fiorentino (vedi il libro: Viaggio terrestre e celeste di Simone Martini, ed. Garzanti, e le poesie: Pasqua Orciana, ed Eglise dedicata proprio a don Flori). Dell'importanza dell'amicizia con don Flori, Luzi parlerà spesso in interviste e libri fra i quali: La Porta del cielo, edizioni Piemme, Colloquio con Mario Specchio, edizioni Garzanti. Anche Leone Piccioni ha scritto spesso su Don Flori, indicandolo sempre come maestro e poeta di autentico valore. Le Opere: Dopo diversi scritti per lo più di carattere sacro, pubblicati via via dall'Osservatore Romano, alcune sue poesie furono pubblicate nella prestigiosa rivista "L'Approdo" a cura di Leone Piccioni, suscitando subito grande interesse. Due anni fa, per iniziativa di amici e studiosi, tra i quali, Leone Piccioni e Don Ivo Petri, la Fondazione del conservatorio San Carlo Borromeo pubblicò con le edizioni Piemme, il volume "Crogiolo Perenne" contenente, come scrive Luzi nell'introduzione "immagini, sensazioni, annotazioni critiche, appunti di teologia, poesie in un perenne crogiolo di intuizioni e invenzioni".
DON GIORGIO MAZZANTI, sacerdote della diocesi di Firenze, insegna Teologia sacramentaria presso la Pontificia Università Urbaniana in Roma. Ha pubblicato testi di teologia sacramentaria e nuziale, testi poetici e saggi critici. Tutto ciò che si può dire di lui è riduttivo. La difficoltà di lettura dei suoi testi trova completamento nella semplicità di espressione durante le omelie alla sua comunità della Pieve di Giogoli sulle colline di Scandicci: ciascuno che ascolta ha l’impressione che quel discorso sia esclusivamente per lui e non per la platea di persone che ascoltano. A ben guardare il dialogo si svolge su una linea diversa, quella del cuore ed è la base per una “evangelizzazione” profonda, trasformante, totale per tutti coloro che “accolgono” le sue riflessioni
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Per presentare il libro ho ritenuto che la cosa più rappresentativa fosse quella di far leggere ai visitatori alcuni piccoli brani che ho inserito nelle pagine allegate.
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Due parole ancora invece per la prefazione di don Giorgio Mazzanti che serve ad introdurci nell’atmosfera del libro facendoci capire le modalità di don Flori. Purtroppo mi trovo nella condizione di dovere "sforbiciare" il testo in modo rude e ingiustificato.
Scrivere per se stessi e per tutti. Nel redigere i suoi testi, Fiori non insegue una finalità didattica e didascalica e neppure si rivolge a un pubblico distinto, laico o religioso che sia. Scrive ‘per sé’, ma non per se stesso in una sorta di compiaciuto narcisismo o ‘intimismo; egli riflette a voce alta, nella speranza di rendersi udibile a tutti, a tutti i livelli e in ogni orizzonte di attesa. Si impegna ad un continuo scavo interiore perché venga all’aperto la verità che è di tutti e per tutti. Come lo è il Vangelo, come lo è la dimensione cristica del Cristo, suo permanente orizzonte vitale.(...)
Don Flori eremita, sismografo, sentinella-profeta ... Flori si sente e vive come un eremita, racchiuso nel suo romitorio (il Seminario, il paese, l’orizzonte dell’Amiata), collocato come sulla cima del monte, a cercare il rapporto con l’assoluto. Questo è il suo ambiente; ma di qui porta il suo sguardo su tutto l’esistente. Flori ha viaggiato poco ma ha esplorato molto, tutte le direzioni. I Quaderni sono una registrazione continua e infinita delle oscillazioni della mente dell’autore che agisce come un sismografo. Intercetta tutti i movimenti dai più feriali ai più alti e interiori, dal ‘popolare’ e ‘volgare’ all’aristocratico. Estendendo la registrazione ad ogni campo dell’esistere e del vivere umano e del cosmo e in tutte le sue manifestazioni. L’eremo è quindi divenuto per Flori la vetta alta del monte dove egli si intrattiene con Dio solo, solo a solo. Entrando nel cuore di Dio che è il centro sorgivo e il destino finale dell’universo, egli entra in contatto con tutto e con tutti coloro ai quali Dio si rapporta; così finisce per acquisire anche il Suo sguardo su eventi e persone, sui quali Dio stesso lo invia. In tal modo Flori può allora vigilare attentamente il pensiero, i pensieri; ma può comportarsi come la sentinella profeta che deve ‘vegliare’ e ‘vigilare’ sui movimenti della storia, delle persone, dei popoli, della Chiesa. In tal modo egli ‘annota’ e ‘discerne’ tutto quanto si muove nel cuore dell’uomo e del suo ambiente vitale/esistenziale, cercando di non farsi sfuggire nulla, né i piccoli né i grandi sommovimenti. Così la sua solitudine si popola di presenze e realtà che Flori percepisce e vive dal cuore e dallo sguardo di Dio.
Fra passato e presente, il movimento intimo del cuore dell’uomo. Egli guarda al passato – e molte sono le sue riflessioni su eventi storici trascorsi perché sa che non ci si può separare dal passato, e dai tra/passati, che le radici non vanno mai sbarbate – pena l’esclusione dal presente, pena la morte. Per questo egli ritiene che «occorre interrogare i morti, accostare l’orecchio alla terra»’ . (...) Inevitabile cogliere la consonanza di tale vissuto col ‘singolare’ mistero del Cristo: il Verbo di Dio fatto carne, corpo e storia, diventa cuore e cifra dell’umana esistenza, e, mentre svela le profondità di Dio e del cuore umano, pure lo interpreta, lo espone, ne fa l’esegesi.
Evitare la ‘pigrizia del cuore’. Il portarsi dentro la storia del Verbo di Dio altro non è che il viverla appieno, assumendone, cioè, fino in fondo ogni dimensione, nessuna esclusa, e offrendo così a modello per l’uomo un atteggiamento esistenziale del tutto estraneo a quello che va sotto il nome di accidia. ... Condizione da intendere, ben al di là di ogni moralismo, come ‘pigrizia del cuore’, ovvero, come afferma Pieper, «inattività che coinvolge la sorgente dell’esistenza. Per questo essa impedisce all’uomo, il quale `disperatamente non vuole essere se stesso’, di dimorare in se stesso e lo caccia necessariamente dalla propria casa; verso il rumore assordante del lavoro ininterrotto, verso l’attivismo presuntuoso della verbosità sofistica, verso il divertimento incessante attraverso stimoli vuoti; in una parola verso una terra di nessuno che forse è strutturata in modo molto confortevole, ma non lascia assolutamente spazio alla calma di un agire in sé pieno di senso, alla contemplazione e tanto meno alla festa».
L’umiltà della mente. Emerge, da quanto fin qui delineato, una sorta di rigore radicale del pensiero di Flori, risultato di una ferrea onestà intellettuale originata a sua volta da uno sguardo profondamente mistico sulla realtà delle cose. Un pensiero la cui straordinaria levatura affonda le sue radici in una assoluta umiltà. Sembra quasi che Flori stia come ‘all’ombra’ dell’umiltà” – che è come dire: sotto l’ombra dello Spirito. Egli vive una autentica ‘umiltà della mente’, vive umilmente. E da qui, da questa ombra spirituale, egli guarda il Mistero che gli si fa incontro, abitando in ogni dove, e tutto pervadendo: la brezza dell’alba e i solchi arati dei campi, i voli degli uccelli. Il Verbo diDio, fattosi parola ‘incorporata’, è ancora potenza nomade, pellegrino, ospite e straniero tra i tempi e i movimenti della Storia e dei pianeti, dell’Universo (si legga in tal senso la figura dell’ospite, del nomade, del beduino, ricorrente nei Quaderni, in particolare nei testi poetici del quaderno 1991). (...) Non si pensi tuttavia che negli scritti di Flori siano assenti le roventi polemiche, le sferzate, gli scatti d’orgoglio, le reazioni forti: eppure, anche tutto questo è frutto d’umiltà. Sussulto d’anima che sente la ferita e l’inadeguatezza del dire o l’arroganza di certo discettare e saccente e supposto ‘profetare’, per cui l’umiltà è massimamente ferita, e spinta a ritirarsi ancor più nella propria ombra.
La misura, il numero e il peso della complessità dell ‘esistente. Possiamo ancora dire che ogni pensiero, e intervento, di Flori si colloca sempre davanti al Tutto, ovvero continuamente ricerca il Tutto. Nella convinzione che ogni cosa sia complessa e molteplice, ma anche che la trama del vivere ha una unità interna, una unità molteplice. ...
Lo spessore del Mistero di Dio. Fiori si rapporta incessantemente a Dio, tutto teso com’è a realizzare quel ‘solo a Solo’ che tanto ha segnato il pensiero neoplatonico (cf. Piotino) e la mistica cristiana, mosso dal desiderio profondo di intimità vissuta con Lui, senza con ciò eliminare la ‘distanza’ tra l’uomo e Dio, senza scalfirne il Mistero più profondo. ... E tutto questo, ancora una volta, parte in Fiori dall’esperienza del Cristo, presenza e chiave del mistero di Dio e dell’Uomo. L’autore dei Quaderni è consapevole, come Florenskij, che «Lo spirito di sistema è negazione del cristianesimo. Ciò che pretende di dare spiegazioni generali alle questioni non trova posto nel cristianesimo. In ogni cosa viva accade così: da qualsiasi punto si parta, ci si rende conto che si avrebbe dovuto iniziare da qualcos’altro. Il metodo è la dialettica. E la poesia e non il manuale sistematico... Il principio musicale, interiormente profondo e organico, non è sistematico»
La Poesia, cuore ed universo dell’esistente, cifra del Mistero. Fiori ama, sente e vive la Poesia, intesa in senso lato come Arte, e comprendente pittura, musica, scultura”. Il suo rapporto con la grande poesia nonché con i poeti viventi è continuo. Si pensi al ruolo di Dante o di Leopardi nel suo pensiero; ma si pensi in primis alla pluriennale amicizia con Mario Luzi... Eppure ... Fiori avverte e vive la Poesia come una dimensione in cui `naufraga’ tutto quanto esiste e perciò cuore e universo dell’esistente, al di là dello stesso filosofare. ... Questa vocazione può inoltrare alla percezione del Mistero, come fa capire Flori, per il quale Poesia è anche e soprattutto cifra appunto del Mistero, realtà onnicomprensiva, luogo di nostalgia infinita che coniuga insieme l’eterno e il tempo, il finito e l’infinito, il visibile e l’invisibile.